Un mare di paura. E chi non ce l'ha? [tl;rl feat. Claudia Torresani]
Issue n.83
Ho fatto un gioco. Mi è stato chiesto che coda vorrei avere: ho visualizzato all’istante, come se fosse lì, quella di un giaguaro (Pantera onca, Linnaeus, 1758). Mi è sembrato bellissimo. Vorrei avere più tempo da passare su Wikipedia per leggere di tutte le cose e sfogliare link come le verze. Claudia Torresani
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La prima volta che ho incontato Claudia Torresani mi ha portato a raccogliere le mele. L'ultima a ritirare una bici. Nel mezzo ci siamo viste troppo poco, ma spesso al Teatro alla Scala. Approfittare di chiedere agli amici nei momenti più disparati di scrivere questa newsletter è la cosa che mi è riuscita meglio negli ultimi mesi. ...
Quando la Domitilla mi ha chiesto di scrivere la newsletter avevamo - la cito - “bevuto birra a stomaco vuoto in pratica”. Le ho detto di sì. E come si fa a tirarsi indietro?
Nel darmi istruzioni per la newsletter, mi ha ricordato - è lucida nel dare istruzioni pure con la birra a stomaco vuoto - che stavamo parlando della rappresentazione di sé.
La dirò senza preamboli: è stato un bel problema. Perché tra il sé e il fare c’è di mezzo un mare. Di paura. Quella che avevo io, al primo anno di lingue, a fine anni '80, in un’università di provincia, assai ricca, e in cui molte ragazze di città guardavano con sospetto - di cosa, non l’ho ancora capito - noi che si veniva dalle valli. Solo per il fatto di essere valligiane.
Stavo maturando l’idea che mai avrei avuto fidanzati o mariti e ne avevo timore. Timore che quelle nate in città sommassero vari sospetti e che questa loro addizione aumentasse la mia vulnerabilità, la mia già oltremodo illanguidita capacità di difesa. Ma mi sentivo, però, anche sicura, in una botte di titanio, con la mia chioma fulva e vaporosa: mettendo su un paio di spalline e due orecchini pendenti, il sospetto sarebbe rimasto unicamente legato all’area di provenienza. Ma chissà come, chissà perché, senza che io facessi alcuna mossa: la più poshettona e sicura di sé, nonostante un po’ di pinguedine, disse all’unica amicizia che mi ero fatta dopo qualche mese, quello che io avevo paura di dire a me stessa.
Ma si può? Mi fai outing prima che io lo faccia a me medesima. E, allora, sai che c’è: al giro di boa del primo tragicomico amore e forte di un corso di letteratura angloamericana very rebel, via la chioma, via i pendenti, su il bomber di pelle e pure i 501 con stivaletti beatles da cavallo (non camperos). E voi cittadine, sospettate quello che volete. Avevo capito che l’orgoglio (è appena finito il mese del pride), concede spazi di manovra più ampi di un tremebondo timore.
Di stile in stile, dopo aver iniziato a lavorare come copy a cui quasi tutto è permesso, chissà come chissà perché, mi trovai fresca di master milanese ad avventurarmi lungo il periglioso cammino delle relazioni pubbliche (io, però, continuo quasi solo a scrivere e mi sento orgogliosa di guadagnarmi da vivere scrivendo scempiaggini), con delle mise troppo raga-boyish per i miei 33 anni. In certi contesti proto queer, e non solo, era fichissima. Ma, se ai copy si perdona tutto, la PR deve essere mediamente vestita da femmina non eterodossa. O a me così pareva. E mi pareva pure di doverci provare. Per non essere vulnerabile, per risultare credibile. Ricordo ancora con un misto di tenerezza e orrore, la mia prima fiera con una mise raccogliticcia con fini timidamente mimetici.
Tuttavia, dopo aver tentato di copiare (la lezione universitaria non mi era bastata), mi ritrovavo ancora una volta a pensarmi fuori posto. E, checché se ne dica, mai sentirsi così quando ci si deve “portare” a una riunione o ritornare, la sera, a casa in pace. Si diventa invisibili e si finisce per essere irrilevanti. Ma, tornando al mimetismo di ritorno, la roba raga che parevo un monomarca Carhartt – mia madre, paziente come poche, finanziò pure un giaccone da 300 euro tipo tramviere, che se non lo sdrammatizzi… - mi aveva stufata, ma quella gender standard mi sembrava sideralmente lontana da me. Decisi allora che avrei corso più veloce di tutte le divise e, complici dei benedetti suggerimenti di amici operanti nel mondo della moda (dovrei dire fashion industry, ma tié), ricostruii. Se eterodossia doveva essere che lo fosse con stile. Iniziai io a stabilire io, cosa sì, cosa no, senza cercare di imitare: pezzi di tutti i tipi e dopo un po’ diventò facilissimo. Gonne, tacchi, mocassini con le nappine, culotte, abiti da sera, Carhartt, scollature, jeans a sigaretta, scarpe dorate con la doppia G… Le scarpe sono una fissa. Sono pure riuscita ad andare a una serata con una felpa Marvel che ha sopra tanti Superman in volo, risultando credibile.
Alle fiere, adesso, mi fanno i complimenti e mi dicono: “Ah, ma come sei fashion”.
Ogni volta che accade mi chiedo: “A me?”.
Nel frattempo, dieci anni fa, ho pure aperto la mia agenzie di PR e la mia socia Alessandra è una di quelle che a quella fiera cercavo di imitare.
Ora, però, ricomincia un’altra fase: il lockdown ha fatto allungare i capelli che da anni coiffati in un certo modo erano la mia cosa (dal parrucchiere tutte le settimane e guai bagnarli) e voglio provare ancora qualcosa di nuovo. Ho anche una taglia abbondante in più, rispetto al 2018. A volte di questo ho paura, a volte no. Ma so che fare finta che l’abito non conti, in primis per sé, è spesso un falso clamoroso: decidere che non è vero che non conta come ci si rappresenta - per ritornare all’inizio - aiuta a non sentirsi invisibile o a non sfocarsi ai propri occhi e a quelli degli altri. E pace se mai avrò quell’aria convinta da PR d’assalto. E pace se un pezzo di me sarà sempre quello del primo anno di università. Peace & Love. Son tanto felice quando a una fiera mi guardano le scarpe. I am in my shoes.
PAROLE DEL MOMENTO
E dopo aver letto come si fa. Niente è più come prima: Decolonialità e privilegio. Pratiche femministe e critiche al sistema-mondo della genia vera Rachele Borghi (Meltemi Editore).
Richiede tanta pratica: Vino naturale per tutti di Alice Feiring (Slow Food Editore).
Ritornare ai fondamentali: Il Nuovo Manuale di Stile di Roberto Lesina (Zanichelli).
Il più bello dell’ultimo anno: Resto qui di Marco Balzano (Einaudi).
NOTE DEL MOMENTO
Set My Heart on Fire di Perfume Genius, ma la canzone definitiva è Queen, quella dell’album omonimo. Da non riuscire a tenersi, come quando ascolti la Callas.
La Callas, sempre. L’intervista a lei e Visconti, da riascoltare all’infinito.
IMMAGINI DEL MOMENTO
Ah, le lagrime versate: la serie Normal People.
PODCAST DEL MOMENTO
Wikiradio. Luigi Malabrocca: ovvero del come si vince con la maglia nera. Viva la bici!
Constance Markievicz. Vite che non sono la tua: Mother Ireland, quattro donne che hanno fatto l'Irlanda, di Paola De Angelis.
ISPIRAZIONE DEL MOMENTO
Anche se per la verità col post covid e il caldo non ci si allena più, mannaggia: Tamara Lunger.
🗄️ DALL'ARCHIVIO
RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI
Ho un blog dal 2003, che si chiama Semerssuaq. La prima newsletter l'ho mandata nel 2012 e l'ultima è della settimana scorsa. Ne mando altre due prima di dichiarare l'estate iniziata. Poi ne riparliamo a settembre. L'archivio è qui: buona lettura.
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✏️ Hai mai pensato di scriverne una tua? Fossi in te partirei da qui: Caro amico mi iscrivo, di Nicole Zavagnin (sono di parte: parla anche di me).
La prossima newsletter con i link delle cose che ha letto qualcun altro arriva quindi giovedì prossimo. Sarà così per un po'.
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Semerssuaq, il blog di Domitilla Ferrari
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