Spreco tempo. Spreco acqua. Spreco carta. Forse, a quanto pare, spreco anche Internet.
«Io credo che stiamo sprecando Internet perché la Rete sarebbe uno spazio pubblico eppure noi preferiamo usarla razzolando all'interno di recinti chiusi, di privati che ci impongono le loro regole stabilendo corsie preferenziali per i contenuti che “funzionano” nei loro modelli economici. La vera aggravante non è tanto “il prodotto sei tu, che paghi con i tuoi dati”, ma non renderci conto che lo spazio libero, quello realmente creativo, quello dove possono davvero cambiare le cose, è al di fuori di quelle piattaforme. Un cambiamento che si vede già lontano dagli schermi, nelle nostre piazze, nelle strade, nel comportamento delle persone, nel loro modo di leggere e interpretare il mondo». Me lo ha detto Antonio Pavolini che ha scritto un libro sul tema.
Da un po’ faccio meno post, scrivo meno, faccio meno foto. Dico meno la mia. Quindi, online, cresco meno.
Sto invecchiando (poco) in Rete. «Cosa significa diventare vecchi nell’era della massima esposizione?» chiede Massimo Mantellini in Invecchiare al tempo della rete (Einaudi) dove scrive: «Specchi e archivi sono due elementi che rendono la vecchiaia attuale totalmente differente dalle vecchiaie precedenti. Gli specchi, intesi come qualsiasi superficie che rifletta e registri un’immagine, quindi anche una fotocamera, l’ottica di uno smartphone, una webcam, un video su YouTube, un frame di una scena postato su un social network, sono la premessa indispensabile al sedimentarsi di una nuova geografia. (…) Lo specchio ha lavorato alle nostre spalle in questi decenni, e lo ha fatto molto più intensamente di quanto non accadesse in passato. Ha raccolto prove minuziose anche quando non ce ne sarebbe stato bisogno. L’archivio le ha conservate in scomparti elettronici che si accumulano e mi registrano scrupolosamente anno dopo anno. Avrei potuto evitarlo, ma non ho voluto, e oggi un po’ me ne pento. (…) Gli specchi e gli archivi digitali sono un memento mori (...). Apri una tua foto e calcoli mentalmente quanti anni sono passati da quello scatto. Poi pensi: così tanti? E quanti anni ho io adesso? E quanti ne avevo allora?».
Ogni parola è un archivio. E gli archivi cambiano. Come cambiano la percezione di noi e del contesto in cui viviamo. Un po’ alla volta, come per tutto.
«I libri hanno legittimato - e questo è indiscutibile - fatti terribili, ma hanno nutrito anche i racconti migliori, i simboli, i saperi e le invenzioni che l’umanità ha costruito nel passato. (…) i libri ci hanno trasmesso il lascito di certe trovate dei nostri avi che non sono invecchiate affatto male: l’eguaglianza tra esseri umani, la possibilità di scegliere chi ci governa, l’intuizione che i bambini stanno senz’altro meglio a scuola che in un luogo di lavoro, la volontà di usare - e di spendere - le risorse dell’erario pubblico per curare i malati, gli anziani e i deboli. Tutte queste invenzioni (…) sono giunte fino a noi per vie tortuose. Senza i libri, le cose migliori del nostro mondo sarebbero svanite nell’oblio».
Ho cercato questo passaggio alla fine del libro Papyrus di Irene Vallejo dopo aver letto, tra i tanti commenti alla nuova revisione dei libri di Roald Dahl questo che segue: «Esiste questo equivoco per cui libri e film servano a educare i bambini al posto dei genitori, degli insegnanti, degli adulti in generale. Esiste anche l’equivoco per cui gli unici a cui si debba “insegnare” qualcosa, come la storia per esempio, siano appunto i bambini», scrive Davide Calì su Frizzifrizzi. «Il perbenismo che ci obbliga a modificare i nostri libri e ora anche quelli degli autori defunti è un campionario di contraddizioni. (…) Parlando di cose più piccole e vicine al nostro quotidiano, guai ormai se una mamma in un libro per bambini lava i piatti. Statisticamente però, nella realtà, continuano a essere le mamme a farlo e a occuparsi, più in generale, della casa e dei figli».
Leggendolo ho pensato alla necessità della rappresentazione e ho cercato questo articolo: L’errore che si fa pensando di non vedere il colore della pelle che contiene un estratto del libro Perché non parlo più di razzismo con le persone bianche di Reni Eddo-Lodge (edizioni E/O): «Un tempo io stessa diffidavo delle battaglie per allargare la rappresentanza nera. Non capivo perché ce ne fosse bisogno. E non capii mai perché, mentre crescevo, mia madre mi esortasse a lavorare il doppio dei miei coetanei bianchi. Per me eravamo tutti uguali. Così, quand’ero all’università e lei mi inoltrò il modulo di un programma per la diversità e l’inclusione attivato da un giornale nazionale, provai rabbia, indignazione e vergogna. All’inizio mi rifiutai di presentare domanda, dicendole: “Se devo competere con i miei coetanei bianchi, lo farò sullo stesso terreno di gioco”. Ma dopo un po’ di lusinghe da parte sua gettai la spugna, compilai il modulo, superai il colloquio di selezione e ottenni uno stage. Lavorando lì mi furono chiare due cose fin dall’inizio. Già al colloquio ero tra i pochi candidati che non studiassero o non si fossero laureati a Oxford e Cambridge. Poi, durante lo stage, capii perché fossero necessari programmi come quello (…) una volta oltrepassata la porta mi accorsi che le facce nere che vedevo là dentro si occupavano quasi sempre del catering o delle pulizie».
Insomma, era un po’ che non andavo lunga.
E che uscivo un po’ da Internet. Che spreco.
La newsletter che stai leggendo è sponsorizzata da Serenis, una startup tech che propone percorsi di psicoterapia, supporto psicologico e counseling online.
Se clicchi sul link c’è una sorpresa, anche se magari volevi una scusa.
«Nella vita si può buttare tutto o tenere tutto, è solo una questione di metri quadri e di anni di psicoterapia fatti», scrive Silvia Nucini sullo spreco di spazio.
E ora torniamo alle solite cose che ne abbiamo bisogno assai.
IL BIGNAMI DEL MARKETING
«Il Made in Italy è un valore? La verità è che è un brand». Dalla newsletter di Giorgio Soffiato che ha intervistato Enrico Casati e Jacopo Sebastio di Velasca.
«La prossima volta che scegliete una foto per il vostro PowerPoint, fateci caso e non prendete la prima foto gratuita su Unsplash che vi capita a tiro, maledizione». La lezione di Tananai, raccontata da Ciccio Rigoli nella sua newsletter sul Public Speaking.
Crea alleanze utili. Con i sales? No, col CFO.
«Hai sentito parlare della Generazione Z. Potresti aver sentito parlare della Generazione Alpha. E della Generazione Zalpha? Come suggerisce il nome, la generazione Zalpha è una generazione combinata (da non confondere con gli zillennials dal nome simile, una micro-generazione nata dal 1990 al 2000, proprio tra i millennial e la generazione Z)». Se non appartieni alla generazione Zalpha, ma lavori nel marketing val la pena di saperne di più: secondo un rapporto di Bain & Company il potenziale di spesa degli Zalphas crescerà tre volte più velocemente di quella delle altre generazioni entro il 2030.
CONSIGLI A LEADER PROMETTENTI
Stai lavorando nel weekend? Vuol dire che la tua azienda va male. Magari se la legge qualche imprenditore la smette, fosse solo per non farlo capire a competitor e investitori. Note: le mail si possono programmare, io lo faccio quando le scrivo la sera tardi e non voglio passare per sfigata.
Impara a gestire il tempo. Qui c’è un corso utile. È con Mafe De Baggis, alla Scuola Holden.
In The Consultant (su Prime Video) Elaine - alla morte del CEO della CompWare si dà una promozione - dice - e in verità si cambia solo job title, da assistente a intermediaria creativa. Pare che stia succedendo davvero. Cosa credi sia il Director of first impressions?
Ricorda: soldi, non job title.I dipendenti dovrebbero essere obbligati a partecipare ad attività “divertenti” sul posto di lavoro? Un tribunale francese non la pensa così. E neppure io.
Fai meno domande. Siamo diventati moltiplicatori di domande, dice Cristiano Carriero che ha fatto un esperimento: «Solo oggi scorrendo tra le email e i messaggi ne conto – l’ho fatto davvero, le ho contate – circa 76. La metà di queste domande avrebbe trovato facilmente una risposta se il testo fosse stato letto con più attenzione».
Dimentica il micromanagement. Ripeti con me: fatto è meglio che perfetto.
Toglimi dal cc: «Far mettere per iscritto ogni singola decisione, mettere sempre in copia i propri responsabili su ogni email, rendere burocratici processi e passaggi altrimenti fluidi sono tipici atteggiamenti da chi aggiunge un lavoro difensivo al proprio lavoro». Che fatica che (ci) fa (fare) la gente.
📖 HO LETTO
Papyrus. L'infinito in un giunco. La grande avventura del libro nel mondo antico, di i Irene Vallejo (Bompiani), che a dispetto del titolo è un libro bellissimo. Lungo.
Senti chi parla. Cosa si dicono gli animali, di Francesca Buoninconti (Codice edizioni).
Storia confidenziale dell’editoria italiana, di Gian Arturo Ferrari (Marsilio) che è anche un libro sui libri (se vuoi saperne di più ne parlano Ludovica Lugli e Giulia Pilotti nella prima puntata di Comodino, un altro podcast de Il Post).
Voltare pagina. Dieci libri per sopravvivere all’amore, di Ester Viola (Einaudi).
Invecchiare al tempo della rete, di Massimo Mantellini (Einaudi).
La sindrome di Leonardo, di Maurizio Rosenzweig (Feltrinelli Comics).
Una stanza tutta per sé, di Virginia Woolf (Feltrinelli). Ma perché non l’avevo letto mai prima?
Bella da leggere prima, bella da riflettere dopo!
Puntata luminosa, grazie.