L’unica cosa che conta davvero [tl;rl feat. Daniela Farnese]
Issue n.80
La quarantena mi ha dato nuovi obiettivi: appena sarà possibile, voglio rimettermi a studiare. Basta accontentarmi di sapere far abbastanza bene quello che faccio. Voglio riuscire a fare molto meglio quello che non faccio. Daniela Farnese
...
- Mi scrivi una newsletter?
- Cos'hai fatto quest'estate? La guest star della newsletter di Domitilla.
- Dimmi di no, ma non farmi sentire unammerda.
- Lo faccio volentieri, ma non so una mazza di marketing.
Che poi non è vero, secondo me ne sa a pacchi pure di marketing, ma qui parla di altro.
Quindi ora torniamo alle solite cose, anche se non scritte da me: il tempo questa settimana me lo ha regalato Daniela Farnese.
Sì potevo linkare altro, ma è la prima volta che presento qualcuno che conosco mettendo il link alla sua pagina su Wikipedia e chi sono io ora per esimermi dal pagare un altro caffè al circolino®? ...
Siamo convalescenti dalla primavera più lunga del millennio, tre interminabili mesi trascorsi con il desiderio di recuperare le passioni lasciate in sospeso durante quella che fu normalità, le serie tv in lista, gli amici da risentire, gli amori da riconquistare, i chili da perdere, i libri sul comodino e quelli nel cassetto. Quasi tutti abbiamo pensato che sarebbe stato bello tenere una traccia di quello che ci stava succedendo. Quasi nessuno, per fortuna, l’ha fatto. (No, non provare a scrivere un romanzo sulla pandemia. Tieni un diario, piuttosto, e lascialo a tuo nipote). La to do list di quello che avremmo voluto fare in queste settimane è stato il più grande fallimento dopo l’ospedale COVID19 allestito alla Fiera di Milano. Abbiamo cominciato a vacillare al primo barattolo di lievito madre esploso in cucina, all’ennesima lezione di yoga via zoom saltata perché chi me lo fa fare di svegliarmi all’alba se non devo andare in ufficio, al primo chilometro corso con la mascherina, a pagina 10 di Guerra e Pace. Io volevo finalmente terminare i primi capitoli del mio prossimo romanzo, il numero otto, quello che doveva essere consegnato tre anni fa e per il quale la mia agente ha ormai perso ogni speranza. C’è stata molta vita a distrarmi dalle pagine, certo, un bambino, due traslochi, il mutuo. Ma soprattutto c’è stato il blocco. Nel 2016, mentre lavoravo a Donnissima (ed. Rizzoli) scrivevo “Prima di iniziare un nuovo libro, io devo vedere e vivere tutta la storia nella mia testa, dall’inizio alla fine, perché scrivo sempre come se rielaborassi un ricordo. Come se i personaggi li avessi visti e conosciuti e, solo poi, mi fossi decisa a raccontarli, come si racconta un aneddoto durante una cena tra amici”. Il mio metodo di scrittura era molto simile a quello dello scrittore algerino Rachid Boudjedra, che dice: “In genere scrivo molto velocemente, ma giungo alla scrittura solo dopo una lunga elaborazione mentale: posso portare un libro dentro di me per diversi anni e poi scriverlo in tre o quattro settimane, lavorando diciotto ore al giorno”. Aveva funzionato per anni. Quando ho iniziato a lavorare al progetto successivo, le storie, però, sono sparite, puff, evaporate. Il mio blocco dello scrittore è iniziato come una pausa, diventata poi un vezzo, trasformatasi in disperazione. Ho iniziato a saccheggiare le librerie per trovare un modo per superarlo nelle parole degli altri, tutti quelli che sembravano non avere o non aver avuto il mio problema. Tutti scrivevano e pubblicavano, amici, nemici, ex, analfabeti, mortaccisi, markettari. Io no. Mi sedevo alla scrivania e iniziavo a stare male fisicamente. Proust diceva che il dolore fisico è una componente stessa della scrittura (e nel caso della Recherche anche della lettura…).
Gabriel García Márquez sosteneva di avere imparato da Hemingway la più grande lezione, ossia che il lavoro di ogni giorno deve interrompersi solo quando si sa già da dove ricominciare il giorno dopo: “Non credo si sia mai dato un consiglio più utile di questo per scrivere. È, né più né meno, il rimedio assoluto contro il fantasma più temuto degli scrittori: l’agonia mattutina davanti alla pagina in bianco”. Ma io non sapevo più da dove ricominciare. Ogni volta che ci ho riprovato, a scrivere, è andata male. Così male che ho iniziato a rielaborare tutta la mia biografia attraverso il filtro del fallimento. Tutti i miei traguardi erano stati un preludio della rovina, le ascese (anche quelle in classifica) l’inizio della caduta. Ho smesso di andare alle presentazioni dei libri degli altri, di incontrare editor o editori, di leggere gli inserti dei quotidiani sulla lettura. Se mi chiedevano “quando esce il prossimo romanzo?”, cambiavo argomento. O scappavo. O bevevo. Ero diventata quella che non inviti più alle feste perché ti accatta un pippone di borisiana memoria (ndr. lo state riguardando Boris su Netflix?) su come sia tutto finito, il mondo come lo conosciamo, la vita, la gioia, l’editoria. È arrivata la pandemia a rubarmi la scena. E in quarantena sono tornate le storie, tutte insieme, i personaggi, le trame, gli intrecci, i cliffhanger. Me li sogno la notte. Prendo appunti, note vocali, sottolineo libri – a matita, lo giuro, solo a matita. Quando pensavo di essere ormai finita, quando il blocco mi aveva tolto ogni boccata di fiducia, ho ripreso a respirare. Non ho ancora scritto una sola riga, eh. Sono ancora qui a raccontarmi questa storia meravigliosa e perfetta nella testa, perché ogni persona che vive dentro le pagine potrà confermarlo: i libri più belli sono quelli che abbiamo pensato per tantissimo tempo e non siamo mai stati capaci di scrivere. Ma sono almeno sicura di aver capito qual è l’unica cosa che davvero conta per ambire al successo, in qualsiasi ambito: possedere margini di miglioramento. E la morale? Il tempo sospeso, annoiato, lontano da ogni routine e dalla frenesia, dalla competizione, dall’ansia delle scadenze è stato la molla che ha rimesso in vita l’ingranaggio inceppato della mia fantasia. Non serve aver fatto molto, in tre mesi di mer*a.
Basta aver capito cosa non funzionava prima.
Buona fortuna a tutti.
QUALCHE LINK SULL'EDITORIA
STO ASCOLTANDO
Prendila così, il primo programma radio, in onda su Radio2, che celebra il fallimento (ed era ora)
LIBRI PER SUPERARE IL BLOCCO
Scrivere è un tic, i segreti degli scrittori di Francesco Piccolo (minimum fax).
Vivere per raccontarla di Gabriel García Márquez (Mondadori).
Il Mestiere dello Scrittore di Murakami Haruki (Einaudi).
On writing: Autobiografia di un mestiere di Stephen King (Frassinelli).
🗄️ DALL'ARCHIVIO
RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI
Ho un blog dal 2003, che si chiama Semerssuaq. La prima newsletter l'ho mandata nel 2012 e l'ultima è della settimana scorsa. L'oggetto è: Questa non è la mia newsletter/2: le solite cose anche se non scritte da me e infatti quella della settimana scorsa l'ha scritta Annalisa Monfreda, e quella prima Martino Pietropoli.
💌 Ti è piaciuta questa newsletter? L'ha scritta per noi Daniela Farnese, dentro ci sono 22 link e 1349 parole e puoi inoltrarle tutte a qualcuno a cui vorresti farle leggere. A me farebbe piacere, penso anche a lei.
📩 Te l'hanno inoltrata? Non la ricevi perché non hai mai pensato di iscriverti? Puoi rimediare lasciando la tua mail qua. In caso di indecisione (hai ragione 👍di mail ne riceviamo già troppe) qui e qui dicono che non dovresti averne. E, se ti piacciono le newsletter di contenuto, quelle utili per imparare cose nuove, qui trovi una selezione fatta da me.
✏️ Hai mai pensato di scriverne una tua? Fossi in te partirei da qui: Caro amico mi iscrivo, di Nicole Zavagnin (sono di parte: parla anche di me).
La prossima newsletter con i link delle cose che ha letto qualcun altro arriva quindi giovedì prossimo. Sarà così per un po'.
❤️ Nel frattempo fai cose belle anche tu.
📮 Ricevi questa mail perché sei tra le 3551 persone iscritte alla newsletter di
Semerssuaq, il blog di Domitilla Ferrari
🐌 tl;rl sta per too long, read later al posto di tl;dr (troppo lungo, non letto): prenditi il tempo che serve.
❌ Non ti interessa più?
Cancellati dalla mailing list e 👋 ciao.